Padre padrone

Padre padrone

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Da “ABITARE LA MENZOGNA”  http://www.stampalternativa.it/libri/978-88-6222-339-3/antonella-lia/abitare-la-menzogna.html

 

“(…) perché io son padre e tu figlio, intendi?
E a me data è su te ogni potestà,
fin dai tempi dei tempi, sopra tutte le leggi (…)”
(G. D’Annunzio, “La figlia di Iorio”)

La retorica della famiglia propaganda l’amore indiscusso dei genitori versi i figli: basterebbe procreare per divenire una persona migliore.
Da sempre, la realtà è tutt’altra.
L’infanzia nella storia ha subito gravi abusi: i bambini erano ritenuti oggetti, non persone, di esclusiva proprietà dei genitori. Erano considerati materiale informe da plasmare sul modello desiderato dall’adulto. L’incredibile assenza di tracce infantili nella storia “è la prova della mancanza del valore-bambino.” (I. Magli, “L’antica violenza contro i bambini”).
Sin dagli albori della civiltà l’uccisione dei bambini è stata largamente praticata. Bambini venivano sacrificati per motivi rituali: l’offerta del figlio del capo del villaggio per garantirsi la protezione degli dei; sacrifici edilizi di bambini sepolti nelle fondamenta; il sacrificio agricolo del figlio, in cambio della fertilità dei campi.
Nelle successive società storiche, con il progredire della civiltà scompare il sacrificio rituale infantile, ma la posizione del bambino, considerato una proprietà del padre, non muta sostanzialmente.
Grandi stragi di bambini sono narrate nella Bibbia, da quella dei neonati ebrei all’epoca di Mosé, a quella dei piccoli egiziani in occasione dell’esodo, alla strage degli innocenti ordinata da Erode allo scopo di uccidere Gesù.
La Bibbia mostra un genitore padrone indiscusso del figlio:
“Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo.” (Proverbi, 13,24);
“La stoltezza è legata al cuore del fanciullo, ma il bastone della correzione l’allontanerà da lui.” (22,15);
“Non risparmiare al giovane la correzione, anche se tu lo batti con la verga, non morirà; anzi, se lo batti con la verga, lo salverai dagli inferi.” (Proverbi, 23,14-15);
“Chi ama suo figlio gli fa spesso sentire la sferza, perché alla fine possa rallegrarsi di lui.” (Siracide 30,1);
“La verga e la correzione danno sapienza, ma il giovane lasciato a se stesso disonora sua madre.” (29,15).
Nell’Antico Testamento (2 Re 23:10; Geremia 7:31), è citato alcune volte il dio Moloch venerato dai Cananei al quale venivano offerti dei bambini in sacrificio (la Bibbia dice “passati per il fuoco”).
Sempre la Bibbia indica col nome di tofet il luogo in cui avvenivano questi sacrifici.
Anche il Diritto Romano sanciva il capo famiglia capo indiscusso di tutto il clan: a lui erano sottoposti la moglie, i figli, gli schiavi, le nuore. Su tutti costoro egli aveva la “patria potestas”, un potere che si estendeva finanche alla “vitae necisque potestas”, al diritto di vita o di morte, dal quale discendevano una serie di diritti: il “ius exponendi”, che gli conferiva la facoltà di abbandonare il figlio alla nascita in un luogo pubblico; il diritto di vendere i figli; il “ius noxae dandi” (diritto di dare a nossa), che gli concedeva di consegnare il figlio o lo schiavo colpevole di un illecito verso un terzo per liberarsi della responsabilità o come garanzia per il pagamento di un debito. Tutti coloro che erano assoggettati alla “patria potestas” erano considerati un prolungamento del “pater familias”: tutto ciò che veniva acquistato dai figli o dagli schiavi ricadeva automaticamente nella sfera giuridica del padre.
La parola italiana famiglia deriva dal latino “familia”, letteralmente l’insieme dei famuli, coloro che hanno un rapporto di dipendenza dal padre il quale ne disponeva come di beni di sua proprietà (servi, moglie e figli).
Nell’antica Roma, isolato rispetto ai tempi, si colloca il pensiero del poeta Decimo Giunio Giovenale che nella XIV Satira disserta sull’educazione dei figli. Il fanciullo, secondo il poeta, deve essere educato senza imposizioni, con l’esempio e il rispetto: “Maxima debetur puero reverentia”.
Nell’arco dei tempo i bambini hanno condotto esistenze da incubo: quando non erano soppressi perché nati imperfetti o perché malati (o perché del sesso non desiderato), quando non erano sacrificati in riti propiziatori, erano alla mercé di genitori spesso tiranni. Nel medioevo gli adulti potevano impunemente abbandonarli, picchiarli brutalmente, minacciarli e terrorizzarli, violentarli o persino ucciderli: il bambino non possedeva diritti né si tenevano in alcun conto i suoi bisogni. Era considerato un essere incompleto da sottomettere affinché apprendesse le regole di comportamento volute dagli adulti.
L’idea dell’abuso infantile dà per scontata l’esistenza del genere bambini, ma tale categoria è relativamente recente: i ruoli sociali dei più piccoli risalgono tutt’al più al Settecento. Anzi la nozione stessa di bambino ed il concetto del suo sviluppo, non si sono imposti prima dell’Ottocento.
Giustificato dalla scarsità di cibo, l’infanticidio è stato per millenni una pratica diffusa: “Il bambino spariva, vittima di un incidente che non era stato possibile evitare: cadeva nel camino acceso o dentro una bacinella e nessuno aveva potuto tirarlo fuori in tempo. Moriva soffocato nel letto dove dormiva con i genitori, senza che questi nemmeno se ne rendessero conto.” (P. Ariès, “Infanzia”).
Alla fine del XVIII secolo, come riferito da Jean Claude Chesnais, si affidavano alle balie i bambini che nascevano a Parigi, proprio perché era noto che esse li lasciavano morire per incuria. Erano volutamente messe in atto anche nelle famiglie benestanti negligenze alimentari e igieniche, specie per gli ultimi figli, indesiderati in una famiglia già costituita.
Alice Miller, per evidenziare come l’educazione repressiva subita da intere generazioni abbia in seguito preparato terreno fertile per i totalitarismi del XX secolo, cita il seguente passo del 1748 di Johann Sulzer: “È del tutto naturale che l’anima voglia avere una volontà propria e, se non si è lavorato con cura nei primi anni, in seguito la meta sarà più difficile da raggiungere. Questi primi anni presentano, tra l’altro, anche il vantaggio che si può far uso di violenza e di mezzi di costrizione. Con il passare degli anni i bambini dimenticano tutto ciò che è loro occorso nella prima infanzia. Se si riesce a privarli della loro volontà in quel periodo, poi essi non ricorderanno mai più di averne avuta una, e il rigore di cui si dovrà far uso, proprio per questo motivo non avrà conseguenze deleterie.”
Talvolta per profitto, i bambini erano venduti come schiavi o sfruttati come manodopera a basso prezzo.
Contro la crudeltà verso i fanciulli nacquero a Londra numerosi Factory Acts a scopo di limitarne le ore giornaliere di lavoro.
Karl Marx scrive nel Capitale: “Il Factory Act del 1850, ora (1867) vigente, permette 10 ore per la giornata settimanale media, cioè 12 ore per i primi 5 giorni feriali, dalle 6 di mattina”. Ed ancora nel Capitale, Marx denunzia: “Alle 2, 3, 4 del mattino bambini di 9 o 10 anni sono buttati fuori dai loro sudici letti e costretti a lavorare solo per la loro sussistenza”.
Nei secoli il maltrattamento infantile si è fondato su due opinioni: i bambini come proprietà dei genitori e la necessità delle punizioni fisiche per correggerne le cattive inclinazioni ed instaurare la disciplina.
Ambroise Tardieu, professore di medicina legale di Parigi, ricorse nel 1868 all’espressione “Battered Child Syndrome” da lui coniata, dopo aver osservato trentadue casi di bambini picchiati e ustionati a morte.
La prima società di soccorso a favore dei bambini era sorta a New York nel 1853; ma solo nel 1874 in quella stessa città, la crudeltà verso i bambini emerse per un incidente sensazionale: “Una ragazza brutalmente picchiata e umiliata dalla matrigna divenne il simbolo di un orrore nascosto.” Per reazione fu creata la New York Society for the Prevention of Crudelity to Children, nata come prolungamento di un’organizzazione già esistente, finalizzata alla prevenzione della crudeltà verso gli animali: sino ad allora non ci si era mai preoccupati di proteggere i bambini dalla crudeltà!
Tuttavia le manifestazioni contro gli abusi infantili incominciarono molto più tardi. Il termine “abuso” raramente ricorre prima del 1960: in precedenza si era parlato di “atti di crudeltà sui bambini”.
Nel 1961 un gruppo di pediatri di Denver richiamarono l’attenzione di opinione pubblica e mass media su un fenomeno sino ad allora sommerso. Dai raggi X a cui erano stati sottoposti numerosi bambini piccoli – esami radiografici che in genere sono considerati prova oggettiva – emergevano su braccia e gambe numerose vecchie fratture rimarginate, attestanti una consolidata prassi di maltrattamento. E, orrore, ad opera dei genitori!
I medici affrontarono allora il problema del presunto diritto del genitore ad infliggere punizioni fisiche ai loro figli.
Innescata la protesta, i bambini maltrattati furono categorizzati come una sottoclasse di quelli sessualmente abusati.
In precedenza i molestatori erano stati sempre ricercati tra gli estranei: domestici, padri adottivi, patrigni, preti ed insegnanti.
La ricerca evidenziò che i bambini erano maltrattati e molestati dentro la famiglia…

“ABITARE LA MENZOGNA” di Antonella Lia, Stampa Alternativa. (Nel corso del testo e in bibliografia, tutte le dovute citazioni).
L’immagine è tratta dal film “Padre padrone” dei fratelli Taviani, 1977.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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