La sterilità è la riattivazione di una perdita

La sterilità è la riattivazione di una perdita

in Blog | 0 comments

Liberamente tratto da “Abitare la menzogna”    http://www.stampalternativa.it/libri/978-88-6222-339-3/antonella-lia/abitare-la-menzogna.html.

Perché si concepisce un bambino?

Non viene generato per amore nei suoi confronti… prima del concepimento non c’è ancora… esisteva forse, nella mente di sua madre quando era piccola.

Procreare, che per gli animali è effetto di un impulso naturale, per l’essere umano si carica di significati e simbologie che, molto al di là dell’istinto, rispecchiano la cultura di appartenenza, la consuetudine, la morale, il coronamento del rapporto coniugale.

La nostra cultura tutta permeata dal “familismo”, sovrappone al desiderio della donna, pressioni e bisogni culturali che nulla hanno a che fare con la gioia di mettere al mondo un bambino… con la sua tenerezza di mamma che lo sente muoversi tra la propria carne, pulsare nel proprio sangue… È un sentimento che riattiva nella donna le fantasie infantili di un figlio proprio, “fabbricato” con la sola forza del suo corpo. Quel bambino fantasmatico[1] pre-esiste dentro di lei fin dall’infanzia, prima ancora del suo reale desiderio di maternità.

Affinché al più presto si trasformi in famiglia, la giovane coppia è sottoposta a pressioni, implicite o esplicite, di ogni tipo. Il desiderio di un figlio allora, viene contaminato dal bisogno di proiettare su di lui aspirazioni frustrate, di adoperarlo come “bastone della vecchiaia”, di “colmare” un vuoto o di sentirsi più completi, perché dopo la morte rimanga qualcosa di sé, per convenzione o per aderire ad un’immagine.

Tutto questo non ha nulla a che fare con l’accogliere un bambino.

A livello profondo, il valore di donna si misura con la sua capacità di diventare madre, di prestare cure e assistenza ai figli, di presiederne gli aspetti educativi e psicologici… ma anche col suo essere pronta al sacrificio. Incrollabile, la retorica della famiglia continua a scandire il destino femminile nella quotidianità dei doveri di moglie e di madre.

Idealizzata ai confini dell’umano ed ammantata di sacralità, la figura materna è caricata da tutte queste attese irrealistiche e dall’illusione che sia lei a donare la vita. In realtà, nessuno dona la vita, che passa da persona a persona, da cellula a cellula. Ma una ragazza, di fronte a immagini culturali di tale pesantezza, a modelli che le sono stati inculcati fin da piccola, non può che sentirsi inadeguata.

Che succede allora in questa cultura impregnata da tale enfasi retorica, quando una coppia non può generare? Quando in particolare la donna sente di non poter adempiere al compito per il quale da sempre è destinata?

Fin da piccola ha fantasticato in maniera “sotterranea” di poter creare un figlio tutto suo e il suo grembo sterile le comporta un grave lutto… non l’assenza di un figlio qualunque, bensì la perdita[2] di quel bambino che nell’infanzia, ha abitato le sue fantasie e i suoi sogni.

Immagine “Vamp Girl with Doll”, copyright di AllPosters.com.mx.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


[1] Silvia Vegetti Finzi, “Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre”, Mondadori, Milano, 1990.

[2] Silvia Vegetti Finzi,  “Il bambino che manca all’appello materno”, in Marina Sbisà, “I figli della scienza”, Emme Edizioni, Milano, 1985.

Post a Reply

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>

468 ad