Help… chi aiuta l’helper?

Help… chi aiuta l’helper?

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Non è difficile comprendere i motivi di una richiesta di aiuto: problemi esistenziali o situazioni oggettive.

Meno indagata è la motivazione  all’aiuto da parte dell’helper, sia che si tratti di scelta professionale, che di intervento in forma volontaria.

Tale movente, sempre apparentemente nobile, può essere talvolta inquinato da caratteristiche quali: necessità di sentirsi indispensabile, vocazione al sacrificio, “complesso del redentore”, negazione dei propri bisogni con conseguente proiezione sulla persona da aiutare, ipertrofia della funzione di controllo, senso di  onnipotenza.

Si tratta di aspetti della personalità che possono reattivamente comportare all’helper, qualora non ne sia cosciente, ostilità, rancore, risentimento, nonché reazioni di burn-out.

Uno sguardo alla famiglia d’origine che focalizzi messaggi, “spinte” ed ingiunzioni precocemente ricevute, potrebbe costituire una delle chiavi di lettura di tale inquietante fenomeno.

Spesso, ad esempio, i genitori inconsapevolmente desiderano che il bambino cresca in fretta, smettendo di costituire un onere materiale;  la “spinta” profonda in questo caso è “non essere un bambino”; l’ingiunzione è “nega i tuoi  bisogni”.

Altri genitori hanno altresì necessità di sentirsi indispensabili al figlio: la spinta in questo caso è “non crescere”.

Alcuni bambini ricevono entrambi i messaggi: “non essere un bambino” e, contemporaneamente, “non crescere”; non dovrebbero essere piccoli e bisognosi di cure e neppure diventare tanto grandi da andarsene di casa.

Dovrebbero stare a casa e prendersi cura di mamma e di papà!

In tale situazione può innescarsi una motivazione compulsiva all’aiuto; lo stile di vita si modella sugli altrui bisogni e si imposta su una finzione: il soggetto diventa eccessivamente dipendente dal riconoscimento e dagli apprezzamenti.

Un caso diverso è rappresentato da quelle persone che ignorano o disattendono sistematicamente incombenze familiari o lavorative, mostrando contemporaneamente un grande impegno nel volontariato, come se il comportamento d’aiuto costituisse una “scappatoia” al grigiore quotidiano: nella relazione con la persona da soccorrere, l’helper interpreta un ruolo per lui gratificante e nello stesso tempo, sfugge alle proprie responsabilità.

Attraverso l’aiuto, infine, quando si vive un rapporto “disturbato” con il potere, può celarsi la necessità di manipolare gli altri, tenendo a bada situazioni e persone. A livello consapevole, in questo caso, il ritorno è la gratitudine da parte di chi riceve aiuto; a livello inconsapevole il tornaconto è il controllo: la speranza profonda è che, gestendo in prima persona la relazione d’aiuto, si possa tenere sotto scacco gli altri.

Perché non si inneschino in maniera compulsiva tali comportamenti – specie nei “non addetti ai   lavori” sprovvisti di formazione e supervisione ed incapaci di gestire controtransfert ed emozioni – è indispensabile che l’helper si ponga alcune domande.

Il comportamento altruistico si è sviluppato nella famiglia d’origine?

Si trattava di una famiglia molto richiedente?

Il comportamento di aiuto è una modalità “escogitata” per sfuggire a richieste pressanti?

Rappresenta un modo per evitare responsabilità familiari o lavorative?

Il soggetto è eccessivamente dipendente dagli apprezzamenti altrui?

È particolarmente vulnerabile all’ “autorità”?

Sente attrazione verso chi ha bisogno di lui?

Sente la necessità di controllare gli altri?

Non riesce sempre ad elaborare i propri vissuti (fastidio, insofferenza, onnipotenza, soddisfazione, rabbia)?

Si sente particolarmente “riconosciuto” dalle persone che vengono aiutate?

In caso di una maggioranza di risposte positive, un campanello d’allarme dovrebbe far riflettere seriamente sulle reali motivazioni sottese all’aiuto.

Riferimenti Bibliografici:

Lia A. : (1998)  “Help, chi aiuta l’helper?” , in Divenire Newsletter, I semestre, Napoli.

Sirigatti S., Menoni E. , Stefanile C.  : (1988), “Aspetti psicologici della formazione infermieristica”, La Nuova Italia Scientifica, Torino.

Stan W., Brown M. : (1985), “A.T., Psicoterapia della Persona e delle Relazioni”, Cittadella, Assisi.

Fonte dell’immagine: Il giornale di Rieti.

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