Fantasticare un figlio

Fantasticare un figlio

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Da “ABITARE LA MENZOGNA”  http://www.stampalternativa.it/libri/978-88-6222-339-3/antonella-lia/abitare-la-menzogna.html

“(…) eri nascosto nel mio cuore, bambino mio (…) eri nelle bambole della mia infanzia, in tutte le mie speranze, in tutti i mei amori, nella mia vita (…)” (Tagore)
Ogni bambina prima o poi si trova a fantasticare in maniera “sotterranea” di poter creare un figlio tutto suo, generato con la forza del suo solo corpo… e prende forma, nel mito di una vagheggiata onnipotente maternità, il “bambino della notte”, una creatura che abita nei sogni, nei racconti e nei giochi della bambina, mentre è impegnata a costruire la sua identità di donna e di futura mamma.
Con la crescita questa fantasia viene isolata dalla coscienza, bandita dalla realtà quotidiana della donna per lasciare posto ad un concetto totalmente diverso di figlio: colui che sarà generato insieme all’uomo, in un progetto di vita.
Ma che fine fa questo bambino fantasmatico?
Viene cacciato via del tutto dal mondo interno della donna oppure l’antica immagine cova, invisibile ma ancora presente, in qualche luogo remoto della sua anima?
Nella vita di alcune donne adulte c’è talvolta la sensazione di non aver del tutto realizzato quello che come madre si desiderava.
Così come capita al figlio di sentirsi inadeguato, di sentire la presenza di un rivale inafferrabile, qualcuno che “vive” solo nella mente della madre e che non si potrà mai eguagliare.
Il sentimento provato a volte dalla madre, inappagata nei confronti del proprio figlio – non solo di ciò che egli fa, ma soprattutto per “come egli è” – avvalora l’esistenza di quell’antica fantasia di bambino notturno. Di fronte al figlio perfetto che ogni donna porta con sé nel profondo fin da piccola, qualunque bambino risulta perdente.
La stessa madre, nascendo, ha potuto deludere la propria madre… anche lei è stata a sua volta una figlia confrontata con un “bambino della notte” e la consapevolezza di essere stata lei stessa un oggetto imperfetto agli occhi materni potrà renderla meno esigente nei confronti del proprio figlio.
La maternità chiama in causa l’immagine della propria madre di fronte alla quale c’è spesso un “conto aperto” che riguarda carenze, quasi mai di cibo, ma di nutrimento affettivo, abbracci, carezze, presenza. E allora, alla futura mamma, la gravidanza riempie, in senso letterale e metaforico, l’enorme vuoto sentito fino ad allora… il figlio nel suo grembo riesce ad “ancorare quel nucleo profondo che vagava sperduto dentro di lei.”

Quando la gravidanza viene a conclamare finalmente la sua capacità di procreare, la figlia si rivolge alla propria madre perché la soccorra con la sua esperienza, ma in realtà, ad un livello più profondo, è alla madre che con orgoglio desidera ostentare il trionfo del suo stato, la sua capacità procreativa.

Il conflitto femmina-madre si ripercuote sulla sfera della riproduzione e analogamente si evidenzia nel processo del parto. Nel corso di tale evento, centrale e cruciale nella sua vita, l’imperizia della donna raggiunge l’apice.
Troppo spesso gli addetti ai lavori sottovalutano l’importanza del momento del parto, quale tempo sacro di connessione madre-bambino.
Vissuto dalla mamma come evento sofferto, ma soprattutto a lei estraneo, il parto può comportare un non completo ri-conoscimento del bambino come figlio proprio ed una conseguente sensazione di “perdita”.
Accade sovente che al parto segua uno stato di lieve depressione. È questa una circostanza difficilmente accettata e in molti casi stigmatizzata dall’ambiente familiare che non comprende come la donna, avendo conseguito con la maternità la piena realizzazione di sé, invece di esserne felice possa sentirsi depressa.
Troppo spesso i parenti ignorano che, tornata a casa dopo il parto, la madre prende atto di una perdita devastante, quella del bambino che abitava il suo grembo e che fino a poco tempo prima – prigioniero tra le sue viscere – faceva parte di lei. Ora nel guardare il figlio da poco partorito, la donna sente che non è il bambino che lei aspettava. È irreparabilmente “altro da lei”: dorme quando lei deve allattarlo, piange quando lei vuole dormire, e ancora… piange, piange, piange…

“ABITARE LA MENZOGNA” di Antonella Lia, Stampa Alternativa. (Nel corso del testo e in bibliografia, tutte le dovute citazioni).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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