Avetrana: non il fico, ma l’albero genealogico

Avetrana: non il fico, ma l’albero genealogico

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“Dietro ogni delitto, c’è una vicenda umana più interessante del delitto stesso”  Oscar Wilde.

In un torrido agosto, un’adolescente si reca dalla cugina per andare con lei al mare e scompare. La madre dichiara che il colpevole va cercato in famiglia. Ha ragione: la figlia non è uscita viva dalla villetta degli zii.

C’è un albero di fico nella storia. È lì che lo zio avrebbe liberato il piccolo corpo dai vestiti, prima di scaraventarlo in un pozzo… doveva scomparire  “dalla faccia della Terra”.

Ma, al di là di quest’albero, che ha un forte significato simbolico per lo zio che ha distrutto il cadavere, c’è un altro albero che può far chiarezza nella storia.

È l’albero genealogico delle due sorelle, madre e zia della ragazzina uccisa.

Per comprendere il delitto, spostiamoci in un luogo e in un tempo in cui i figli si potevano “dare da crescere” ai parenti ed osserviamo tutta la complicata costellazione familiare che crea rancori, rivalse, rivendicazioni. “Io vedevo Concetta da mia zia Nena e non sapevo che fosse mia sorella” [Bruzzone, 2013] dice un’altra delle zie della vittima… i bambini non sapevano di chi fossero figli.

Dopo gli arresti, l’intero clan familiare si schiera palesemente a favore delle presunte assassine… tutti contro la madre della vittima.

Come mai?

Non è questa madre la parte offesa?

O dietro l’incredibile astio verso di lei, c’è tanto altro?

Se guardiamo le ramificazioni dell’albero – no, non del fico – ma degli intrecci delle parentele, scopriamo infinite ragioni di ostilità tra queste due sorelle, madre e zia dell’adolescente ammazzata.

È un rancore legato a motivi economici – l’eredità di uno zio – ed anche ad altre rivendicazioni, forse altrettanto meschine, e comunque vincolate al danaro. La madre della ragazzina uccisa non avrebbe accudito la propria madre malata, ma sembra non abbia rinunciato al lascito dei propri genitori… ci sono ancora i soldi alla base di tutto.

Il passato è in noi, ed anche nei figli, intrappolati nelle trame di nostri antichi risentimenti… senza conoscerli ma con tutta la rabbia che ne consegue.

In psicoterapia si chiama “irretimento”… una condizione che imprigiona inconsapevolmente nelle maglie del sistema familiare.

Solo con l’irretimento si può spiegare un delitto d’impeto che nelle ipotesi della procura, ha coinvolto due persone. Forse arrabbiata era la zia – non con la piccola vittima, ma con sua madre – ed irretita era la cugina…

Famiglie di questo tipo, ingannano, mistificano, manipolano, depistano, sviano e negano di fronte all’evidenza…

Siamo sempre nel tema di “Abitare la menzogna”   http://www.stampalternativa.it/libri/978-88-6222-339-3/antonella-lia/abitare-la-menzogna.html

L’immagine è stata scaricata dal web.

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