Riconoscere un bambino maltrattato

Riconoscere un bambino maltrattato

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Da ABITARE LA MENZOGNA… Un occhio esperto può riconoscere un bambino maltrattato dalla postura, dal respiro, dai movimenti: il corpo, come matrice connettiva di più livelli di funzionamenti, ‘racconta’ i suoi vissuti, siano essi di sfiducia e di inadeguatezza, o di devastante paura.

La Psicologia Funzionale, intervenendo anche sul versante corporeo, può consentire di evidenziare e risolvere problematiche emotive ancorate nel corpo.

Come abbiamo visto in precedenza, il bambino alla nascita è una persona completa, con tutte i funzionamenti presenti ed un alto grado di integrazione tra tutti i livelli del proprio Sé.

Un attaccamento insicuro sperimentato nella prima infanzia  è causa di disfunzioni nello sviluppo successivo e di perdita di quella capacità di benessere che il bimbo possedeva in origine.

Allo stesso modo una figura allevante rigida e autoritaria, incapace di esprimere le proprie emozioni, può offrire al bambino un modello relazionale prevalentemente cognitivo, impedendogli di esplorare la sfera affettiva.

Tale modello sarà interiorizzato e rimarrà stabile durante tutto il corso della vita se il soggetto non intraprenderà un suo percorso di ‘ri-nascita’.

Il bambino oggetto del disamore, impara presto a spiare dalle espressioni facciali dei genitori se è tempesta o bonaccia; sa che la violenza può esplodere all’improvviso e non potrà difendersene. La paura blocca il suo corpo e ‘mozza’ il suo respiro. Egli vive con il “fiato sospeso” e non è solo una metafora: il costante stato di allarme ne irrigidisce il corpo, ne blocca il diaframma limitandone gli atti respiratori [Rispoli, Andriello, 1988].  Poiché la respirazione è la Funzione biologica principale, ogni patologia del respiro ha ripercussioni sulla psiche e sul corpo e, in un’interazione circolare, il disturbo del respiro rivela, a sua volta, l’esistenza di un problema emotivo ‘a monte’.

I blocchi muscolari, sia della muscolatura direttamente implicata nella respirazione, sia di quella indirettamente coinvolta, rappresentano una difesa dalle emozioni: si trattiene il respiro per non sentire sensazioni, emozioni, sentimenti ritenuti inaccettabili, che divengono ‘inaccessibili’.

Non esiste alcuna tecnica di respirazione ideale, esiste il respiro fisiologico, in pratica quello del neonato che – libero da blocchi e spasmi poiché integro nella sua unità psicosomatica – riempie i polmoni dal basso come una bottiglia e li svuota dall’alto. Tutto il processo è regolato dal sistema nervoso autonomo in modo automatico, attraverso l’antagonismo vago-simpatico[Reich, 1975].

In situazione di allarme, la natura ha predisposto il prevalere del sistema nervoso simpatico. È una condizione funzionale al momento del pericolo, che predispone l’organismo alla difesa o ad una risposta aggressiva.

Nel caso dello stress prolungato provocato dalla condizione di maltrattamento, l’organismo del bambino, attraverso il prevalere del sistema simpatico sul vago, rimane in situazione di emergenza permanente, cronicizzando lo stato di ‘contrazione’ a spese del respiro profondo, della motilità vegetativa, del benessere.

Egli non può rendersi conto di tale disfunzione, ma ne porterà le tracce nel respiro, nella postura, nel movimento, nei piani di azione. Oltre alla Funzione Emotiva, minata dai vissuti di dolore, paura e disperazione, sono compromesse quella Fisiologica del respiro e quella Posturale dei movimenti. Anche la sfera del Cognitivo può risultare ispessita o può sclerotizzarsi: accade talvolta che il bambino operi una fuga dalla realtà, rifugiandosi in fantasie compensatorie.

 

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