Quando a manipolarti è un genitore

Quando a manipolarti è un genitore

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Da “ABITARE LA MENZOGNA”, di Antonella Lia
http://www.stampalternativa.it/libri/978-88-6222-339-3/antonella-lia/abitare-la-menzogna.html

I genitori che vivono nella menzogna sostengono di desiderare più di ogni altra cosa l’armonia tra i loro figli, ma, in maniera più o meno consapevole, utilizzano varie strategie per fomentarne ogni discordia.
Quando è arbitrario, il potere del genitore si avvale, oltre che dell’esercizio diretto della tirannide, anche di una dinamica psicologica estremamente perversa che fà uso degli stessi oppressi, i figli inconsapevoli, aizzati l’uno contro l’altro con l’inganno, ognuno per sé e per il proprio illusorio privilegio.
E’ all’opera il “divide et impera” , la più imponente strategia di dominio e sottomissione dei popoli adoperata dai tempi dell’antica Roma.
La famiglia non ne è indenne.
E’ una tattica manipolatoria basata sulla paura: dove essa regna, ne vige regolarmente anche l’uso strategico, atto a rendere le vittime deboli e impotenti.
Il “divide et impera” fomenta i dissidi tra i figli, indebolendone i rapporti al fine di ostacolare qualunque tipo di alleanza possa mettere in discussione il potere assoluto del padre-padrone. E’ il caso dei paragoni tra i figli, funzionali al mantenimento di tensioni tra di loro; del bambino squalificato davanti al fratello contemporaneamente elogiato; del figlio vittima di sistematiche ingiustizie in una famiglia fondata su un sistema di privilegi; o della complicità di un genitore con uno dei figli, che provoca invidie e gelosie tra i fratelli.
L’uso del “divide et impera” in famiglia emerge con chiarezza in alcuni emblematici casi: fratellini solitamente conflittuali, che rendono la vita impossibile a mamma e papà, in assenza dei genitori, a sorpresa, giocano serenamente tra loro.
Nella casa della menzogna un genitore può adoperare un bambino in una alleanza segreta per “addossargli”, con subdole modalità comunicative – indirette e non verbali – tutta l’ostilità provata nei confronti di altri componenti del sistema familiare. Tale tacita complicità è devastante per un figlio che non può difendersi da un così oneroso carico di emozioni negative; a causa del “segreto” nessun segnale può farne emergere all’esterno la distruttività.
E’ una strategia caratterizzata da assenza di reciprocità nell’interazione familiare e da scambi interpersonali meramente utilitaristici: il genitore “burattinaio”, filtrando ogni informazione, “muove” coniuge e figli come marionette per controllarne emozioni, influenzarne pensieri e orientarne comportamenti.
Emotivamente distante dagli altri e noncurante di desideri, preferenze o talenti, il genitore che mette in scena il suo “teatro” è interessato solo all’efficacia della rappresentazione.
Per ottenere ciò che vuole non si farà scrupolo di fare uso di comunicazione perversa, adoperare ricatto morale o seduzione.
In caso di separazione o divorzio tali strategie si amplificano con modalità devastanti per i bambini: il genitore manipolatore, specie se ha subito l’onta dell’abbandono da parte del coniuge, non si fà scrupolo di adoperare i figli come merce di scambio, anche economico.
Al bambino sofferente per la ferita del divorzio impone di provare per l’altro genitore, quello “cattivo”, i suoi stessi sentimenti ostili, presentando la fine del matrimonio non già come la fine del rapporto di coppia, bensì come l’abbandono del figlio per mancanza d’affetto.
Proponendosi come unico punto di riferimento, il genitore che mistifica, colpevolizza il bambino qualora provi ancora sentimenti filiali verso il “reo”; rinforzandogli, inoltre, continuamente l’immagine negativa del coniuge, influenza il figlio in modo subdolo affinché ne interrompa i rapporti.
Convinto di essere amato e protetto dal genitore “buono”, il bambino cerca in ogni modo di rispondere alle sue aspettative, rinunciando all’altro genitore.
Il “divide et impera” consente al genitore di sottrarsi anche a responsabilità di carattere morale, conservando intatta la propria immagine e mantenendo i privilegi. Ad esempio, alla richiesta di aiuto economico da parte di un figlio in difficoltà, può fare appello al suo senso di equità per non soccorrerlo: “Ho altri figli, non posso darti nulla: se lo sapessero i tuoi fratelli si arrabbierebbero”.
In realtà tale genitore ricorre ipocritamente al senso di giustizia per non intervenire in aiuto al figlio economicamente più debole, difendendo in tal modo le proprie sostanze. Contemporaneamente l’immagine che nella dinamica dà al figlio in difficoltà – i fratelli armati gli uni contro gli altri – fomenta nel giovane la rabbia verso di loro.
Il tornaconto è chiaro: con il “divide et impera” i figli non si alleeranno mai contro di lui per estorcergli i beni.
In maniera analoga, le discriminazioni verso uno dei figli messe in atto dai genitori in campo economico hanno lo scopo di mantenere costanti le tensioni in famiglia.
Il genitore che si appiglia al senso di equità sta perpetrando un inganno: è nella casa del disamore che si fa uso del “bilancino” per spartire affetto, beni, diritti, ma ad un occhio attento, la bilancia si rivela sbilenca, un iniquo trabucco da “due pesi e due misure”.
Mancando il contatto con i veri bisogni dei figli, l’appello al senso di giustizia è finalizzato a spacciare per sistema fondato sui diritti, quello che in realtà è un apparato di privilegi.
Nella casa in cui vige l’ingiustizia, tutti i figli pagano un alto prezzo: il bambino maltrattato, discriminato e perseguitato ne pagherà uno immenso; ma anche il figlio, apparentemente privilegiato, invischiato in alleanze perverse e in inevitabili laceranti sensi di colpa non uscirà indenne dalla dinamica.
Il senso della giustizia è profondamente radicato nell’essere umano ed ogni bambino ha bisogno di sentire che i suoi genitori non fanno discriminazioni.
Se però non abita nella casa della menzogna e del disamore…
© RIPRODUZIONE RISERVATA
“ABITARE LA MENZOGNA” di Antonella Lia, Stampa Alternativa. (Nel corso del testo e in bibliografia, tutte le dovute citazioni).

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