Patrizio Lampariello, “SE IL SOLE MUORE”

Patrizio Lampariello, “SE IL SOLE MUORE”

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È un piacere intervistare Patrizio Lampariello, scrittore esordiente con il romanzo autobiografico SE IL SOLE MUORE, la storia dolorosa di un bambino “morto dentro”. Scrivere è stato per Patrizio ricapitolare la vita per “risarcire” se stesso bambino di quelle cure e di quell’amore che non ha potuto ricevere dalla madre. Di un’infanzia di soprusi e di menzogne quasi sempre ci si vergogna, come se degli abusi fosse colpevole la vittima più del carnefice. Patrizio ha il coraggio di metterci la faccia: grazie a un percorso di psicoterapia, è riuscito ad elaborare tanta sofferenza e a raccontare se stesso.

Come e quando è nato il tuo amore per la scrittura?
Il primo libro che abbia mai letto è stato a circa 11 anni, durante una brutta bronchite. Allora, per tenermi compagnia e trascorrere le lunghe giornate costretto a letto, presi un libro a caso dalla biblioteca di mio padre. Era un romanzo di Giovanni Papini che, manco a dirlo, non avevo idea chi fosse. Si trattava di una raccolta di ricordi della fanciullezza in cui l’autore riusciva a tratteggiare gli stati d’animo e la meraviglia di un bambino di fronte alla primavera incipiente in cui la natura risorge a nuova vita dopo il lungo letargo dell’inverno. L’autore riusciva a farlo con una sensibilità e spontaneità che, in qualche modo, riuscivano a consolarmi. Il libro era: “Il muro dei gelsomini”. Ricordo ancora la copertina usurata e le pagine ingiallite in cui il titolo faceva capolino perché evidenziato in rosso. Ogni volta che riprendevo quel libro era come ricevere una “carezza” e cercavo di leggere lentamente affinché non finisse subito.
Da allora in poi, cominciai a leggere sempre più romanzi per ragazzi ed enciclopedie per ragazzi: avevo una grande curiosità, ero appassionato di storia e geografia, di biografie di personaggi noti. La geografia astronomica mi affascinava e mi piaceva molto la lingua italiana. Tenevo una rubrica in cui annotavo le parole che non conoscevo che incontravo nei libri di testo oppure quelle che gli insegnanti pronunciavano a scuola o, ancora, che ascoltavo alla televisione. Dopo qualche anno decisi di tenere un diario, ma ero discontinuo, purtroppo.

2) Parla di te. Quella dello scrittore è il tuo primo lavoro o vivi con un’altra professione?
Qui tocchiamo un tasto dolente: il più dolente della mia vita. Quando mi diplomai in ragioneria (indirizzo voluto da mio padre), presso l’istituto tecnico commerciale “Ferdinando Galiani” di Napoli, mio padre era già scomparso prematuramente due anni prima. Fu proprio in occasione dell’esame di maturità che, quella che poteva essere una normale ansia da esame, si trasformò per me in un vero incubo ad occhi aperti. Le notti insonni non si contavano e andavo avanti con la forza di volontà. Ad ogni modo riuscii a sostenere la maturità, ricevendo anche con i complimenti della commissione esaminatrice. Non avrei mai immaginato che la mia vita da studente si sarebbe fermata…prima ancora di iniziare! Entrai in un vortice traumatico con i sintomi più svariati e invalidanti in cui spiccavano la totale assenza di autostima, il terrore degli esami, la dipendenza dal giudizio altrui, un’ansia cronica ed una depressione strisciante. Soffrivo di disturbi dissociativi, ma per la natura stessa del disturbo, non ne potevo essere consapevole. E del resto, oltre trent’anni fa, non esisteva né una categoria diagnostica di disturbo dissociativo né tantomeno quella di “Disturbo post-traumatico complesso”. Quest’ultimo non è stato ancora incluso nel DSM V. Mi iscrissi a medicina, ma abbandonai. Mi riproposi per altre facoltà, quelle umanistiche: mi iscrissi all’orientale dove frequentavo i corsi e studiavo con regolarità, ma l’ansia anticipatoria degli esami mi portava, attraverso l’evitamento, a chiudermi tutte le porte. Falliti i tentativi di studiare pensai che il lavoro potesse essere motivo di soddisfazione. Purtroppo neanche con il lavoro le cose andavano bene. Avevo problemi relazionali, insonnia e quelli, oggi noti, come “Disturbi dissociativi”. Allora non diagnosticati e non curati. Arriviamo alla fine degli anni ottanta, precisamente nel 1989, quando conobbi lo psicoterapeuta “giusto”. Ci ho messo molto più di qualche lustro per uscire dai miei problemi e tanto coraggio perché, nel frattempo, emergevano ricordi dissociati tanto intollerabili quanto incredibili. Mi chiedevo se non mi stessi inventando tutto! Purtroppo, non era così. Mi sono sposato nel 1991 e vivevo facendo lezioni private domiciliari. Insegnavo di tutto; spesso imparavo la mattina e spiegavo il pomeriggio In quel tempo guadagnavo abbastanza bene per tirare avanti la nascente famigliola. L’anno dopo il matrimonio, nacque la mia prima figlia, giusto il tempo di prenderla in braccio, per poi doverla salutare per sempre, in una piccola bara bianca, dopo appena quattro giorni per “morte improvvisa in culla”. Ero religioso, in quel periodo. E parlando con un gesuita della piccola Tania (la mia bimba scomparsa), proprio nella Chiesa del “Gesù Nuovo”, mi disse che purtroppo era nel “limbo” perché non battezzata. Con una reazione istintiva gli risposi a malaparole e lo mandai a quel paese! Ecco: mi ritrovavo senza amore (ma questo non lo sapevo ad un livello di consapevolezza), senza Tania e senza fede in un Dio. Incominciai ad interrogarmi sulla fondatezza storica del cristianesimo nonché sulla validità dei suoi assunti morali: praticamente non ho trovato alcuna base su cui le sue pretese di storicità e di credibilità potessero poggiare. Ho letto autori di critica storiografica e di filologia come il prof. Mauro Pesce, Bart Ehrmann, Riccardo Calimani, Barbaglio (ecclesiastico), e tanti altri.
Anche Alice Miller in uno dei suoi saggi (se non sbaglio, mi pare si tratti de: “L’infanzia rimossa” ha avuto a che fare con la doppia morale della chiesa cattolica. Nei primi anni novanta Inviò una lettera a sua santità Giovanni Paolo II in cui denunciava i maltrattamenti dei bambini. Non ricevette mai risposta.
La questione, poi, l’ha meglio affrontata ne “Il risveglio di Eva”. Leggere e riflettere per capire. La Chiesa è una struttura gerarchica di potere e il bambino viene sacrificato alla necessità del “peccato originale” e diventa latore di ogni “gramigna da estirpare”.
Allora, compresi che tutti i miei valori, i significati appresi (religione, ideologie, ecc.) erano relativi e contingenti. La natura sa essere anche spietata nella sua “crudele innocenza”. Dio in tutto ciò con c’entrava niente perché semplicemente…non c’era. Fu, ancora una volta, il mio psicoterapeuta a darmi sostegno perché da mia madre mai una parola di conforto. Per cercare di dare un senso alla mia vita, per i circa tre anni che precedettero la nascita di Alessia, la secondogenita, mi iscrissi alla facoltà di psicologia a Caserta, appena aperta. Sono riuscito a fare solo quattro esami (non di più); quando è nata Alessia un po’ perché le carenti possibilità economiche, un po’ perché fare degli esami mi stressava sempre, dovetti dedicare più tempo al lavoro. Solo nei primi anni del 2000 incominciai a fare supplenze come “collaboratore scolastico”. Passo in ruolo soltanto dopo 10 anni. Qualche anno fa ho partecipato ad un concorso on line per “brevi racconti”. Non rientrai tra i primi 100 solo per molto poco. Mi rimase il piacere di aver scritto almeno un racconto.

3) Che genere di libri ami leggere?
Praticamente di tutto. Tuttavia prediligo la saggistica. In un primo periodo ho letto molto di filosofia, prediligendo la corrente degli esistenzialisti: Heidegger, Sartre, Camus. Ma anche Il criticismo di Kant e gli idealisti tedeschi (Hegel). Per non citare Nietzsche. Studio di psicologia clinica e dell’attaccamento. Leggo autori legati allo studio dello stress e dell’attaccamento (Liotti, Stern, Van Der Kolk, Fisher, Steele, Shapiro e tanti altri). Amo le neuroscienze. Ho appena finito di studiare l’interessante volume di Porges: “La teoria polivagale”. Seguo il dibattito nelle neuroscienze sull’ultimo “mistero”, la coscienza. Amo leggere libri divulgativi di fisica dalla relatività alla meccanica quantistica. Il tutto tra un romanzo e l’altro, purché sia un buon “classico”. Tra gli autori preferiti ci sono quelli russi (Dostoevskij, Gogol, e Tolstoj), ma anche quelli italiani (Calvino, Svevo, Gadda, Eco, Pavese, ecc.), quelli tedeschi o in lingua tedesca (Thomas Mann, Kafka, Musil), e tanti altri. Ma non voglio dimenticare “La recherche” di Proust di cui pure la Miller analizza la condizione psicologica.

4) Che genere di libro è SE IL SOLE MUORE?
Anzitutto lo stesso titolo mi è balenato in mente mentre scrivevo; mi sono ri-trovato bambino abbandonato e sballottato da un collegio all’altro da una madre che “diceva” di amarmi, nella più totale solitudine e disperazione. Solo l’elaborazione di tanto dolore ha potuto riconnettermi col “bambino interiore” dal quale mi sono difeso per una vita, pur di sopravvivere. In quel momento sono riuscito a sopravvivere grazie ad una forza biologica interiore, ma dentro di me ero morto, era tutto buio. Se alla terra mancasse il sole ne morirebbe. Ecco: era esattamente la condizione psichica in cui mi trovavo io: ero un “morto dentro”. Come si vede, è un libro autobiografico che, non avrei potuto scrivere con ‘parole di verità’ se non avessi fatto pace con me stesso, con il bambino che è stato solo vittima di un sistema di potere e che tenevo relegato nelle “gabbie dell’inconscio”. Con questo libro ho voluto fare qualcosa per quel bambino cui la madre (e le strutture “educative”) attribuiva ogni sorta di malefatta, malizia, cattiveria, aggressività. Ho voluto, a modo mio, “risarcirlo” di un riconoscimento che non ho potuto ricevere da mia madre, che ha sempre negato, come anche da mio fratello, suo degno erede. Inoltre-questa è la mia più ardente speranza-sarei contento se qualcuno potesse riconoscersi in un qualche episodio affinché possa essere terapeutico. Un solo essere umano “sensibilizzato” darebbe un senso anche alla mia sofferenza. Infine, ma non ultimo, intendo testimoniare che i bambini, anche quelli più “protetti”, vivono un inferno tutto interiore che nessuno prende in considerazione. I frutti malati di relazioni di non accudimento e protezione li vediamo nelle pagine di cronaca nera nazionale ed internazionale, nei casi più estremi come i “femminicidi” o gli integralismi e ideologie religiose e politiche. Ma li vediamo anche nelle storie, meno appariscenti, ma non meno invalidanti, di “quotidiana infelicità”.
Per quanto la stesura del libro abbia richiesto la preparazione di una base emotiva per renderlo possibile, ho impiegato circa due anni per scriverlo perché mi è costato molto trovare le parole ad un dolore che, però, questa volta mi riusciva di tollerare senza dover giungere ad “affogare la penna nelle lacrime”.

5) Ti sei ispirato a qualche autore?
Quando durante il cammino psicoterapeutico mi sono interessato alla “biblioterapia”, ho notato nella bibliografia a ridosso di un saggio di Alice Miller un libro che ha subito catturato la mia curiosità: “Le ceneri di Angela” dello scrittore irlandese Frank McCourt in cui l’autore narrava della sua infanzia negata. Ne è stato anche prodotto il film ma il romanzo autobiografico resta, secondo me, più vero.

6) Come mai hai scelto la formula dell’auto-pubblicazione?
Per un motivo squisitamente economico: non potevo spendere le cifre che le case editrici da me contattate mi richiedevano. Così ho dovuto optare per la formula del “Self-publishing” e devo dire che…si vede! Ci sono alcuni refusi e qualche ripetizione sfuggita ai correttori di bozze. Inoltre, mi sono accorto che il volume non è mai immediatamente disponibile. Ma di questo ero stato avvisato.

Grazie per l’intervista, gentile dottoressa Lia.

Grazie a te, Patrizio, e ad maiora!

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