Maria Gargotta, versatile scrittrice napoletana

Maria Gargotta, versatile scrittrice napoletana

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Con gioia intervisto Maria Gargotta docente e scrittrice napoletana. Laureata in Lettere classiche alla “Federico II” di Napoli,  ha collaborato come cultrice, con la cattedra di Letteratura Italiana alla “Federico II”. La critica letteraria, la poesia e la narrativa impegnano il suo tempo migliore. Ha al suo attivo diversi saggi critici, due sillogi poetiche e quattro romanzi. È vincitrice di numerosi premi letterari per la poesia e per la narrativa.

Come e quando è nato il tuo amore per la scrittura?

Il mio amore per la scrittura è nato con me: già da ragazzina trascorrevo pomeriggi interi a scrivere poesie, racconti e anche lunghissimi romanzi. Anzi, ricordo che la mia maestra di terza elementare, conoscendo la mia passione per la scrittura, un giorno disse a mia madre: “Questa bambina diventerà una scrittrice”. Tuttavia, per anni ho pensato che si trattasse solo di un piacevole hobby; solo a un certo punto, verso i trent’anni o giù di lì, ho capito che si trattava di una passione vera e propria, anzi, di una vocazione, fondamentale per la mia realizzazione interiore. Così ho cominciato a pubblicare, perché la scrittura ha anche bisogno di lettori: è comunicazione.

Parla di te. Quella dello scrittore è il tuo primo lavoro o vivi con un’ altra professione?

Io sono anche una docente di materie letterarie e, all’inizio, ero convinta che l’insegnamento non fosse proprio per me il lavoro ideale; invece, col tempo, ho capito, anche dalla risposta dei miei alunni, non solo che quella era proprio la professione per me, ma che le due cose, la scrittura e l’insegnamento, non erano che due facce della stessa medaglia: l’amore per la parola e il piacere di comunicare con passione quello che sento e amo.

Che genere di libri scrivi?

A parte due sillogi di poesie, i primi tre romanzi sono di ispirazione autobiografica, anche se ovviamente gli eventi sono sempre trasfigurati letterariamente. L’ultimo romanzo è invece un giallo storico. Ma c’è una componente imprescindibile che lega tutti i miei libri: si tratta sempre di romanzi introspettivi, di scavo interiore. È il genere che amo di più anche per le mie letture.

Puoi presentare i tuoi libri? Ricorda di indicare in quale/i dei romanzi i personaggi e gli ambienti appartengono alla tua esperienza reale…  e in quale/ii è la fantasia ad averti ispirato la trama.

Come ho già detto, i primi tre erano autobiografici. Il primo, Mnemosyne (edito nel 1998 da Oxiana editore), svolgeva il delicato tema del passaggio dall’adolescenza alla giovinezza e della scoperta dell’amore; il secondo, Voci al tramonto (edito da Guida editore nel 2009), scritto dopo la morte di mia madre, metteva a fuoco il complesso e conflittuale rapporto con la figura materna, provando a liberare il ruolo materno da tutte le facili e banali mitizzazioni, per recuperare, sia pure post mortem, un legame più vero e profondo; il terzo, I giorni della montagna bruna (edito da Città del Sole editore nel 2014) ripercorre, tra la Sicilia e Napoli, la vita di mio padre, un uomo straordinario nella sua poetica ordinarietà, sullo sfondo di anni cruciali, quali quelli del fascismo, della guerra e del difficile dopo guerra. Un recupero, in tutti e tre i casi, del mio passato e del passato familiare, sempre in una chiave fortemente introspettiva. Ma anche nell’ultimo romanzo, che non trae ispirazione dal mio vissuto, c’è, un po’ in tutti i personaggi, una parte di me, che indaga dentro se stessa. Inoltre, sono sempre presenti i due luoghi della mia anima: Napoli e la Sicilia, terra di origine di mio padre.

Racconta in poche parole la trama del tuo ultimo libro.

Il mio ultimo romanzo I fantasmi sono innocenti (edito da Rogiosi nel 2017) immagina l’incontro imprevisto, a Castel Capuano, tra un magistrato siciliano e il fantasma di Giuditta Guastamacchia, realmente vissuta alla fine del 1700 e morta impiccata, perché rea dell’omicidio del marito. Da questo incontro-scontro, fatto di passione e compassione, tra il magistrato, prigioniero di una logica ferrea, e il fantasma seducente della donna, tutta istinto e visceralità, nasce una rivelatrice inchiesta sul male e la rivelazione di insospettate zone d’ombra, prima volutamente ignorate.

Da dove nasce l’ispirazione?

Nasce da un articolo, pubblicato anni fa sulla rivista “L’espresso napoletano”, sulla figura di Giuditta Giastamacchia, che mi ha molto suggestionato. Ho voluto per così dire ridare a questa donna una innocenza, fatta di una consapevolezza postuma, che solo la scrittura e la scrittura introspettiva può dare.

In genere, quanto tempo impieghi a scrivere un libro?

Moltissimo tempo, perché la gestazione è per me lunghissima, a volte passano anni. Nasce un’idea, o meglio un’ispirazione, intorno alla quale si viene formando una trama, più volte rivisitata (una sorta di tela di Penelope), che si affolla, molto lentamente, di personaggi e di immagini. Solo dopo questo lento e lungo lavorìo, comincio a mettere penna su carta o, per meglio dire, mano sui tasti del computer, ma con tanti fogliettini attorno, scritti in un lungo arco di tempo.

Quante ore al giorno, o a settimana, in genere dedichi alla scrittura?

La mia scrittura creativa, a differenza di quella critica, di cui pure mi occupo, non ha una “disciplina”: non è una scrittura, per così dire, di testa, viene da dentro, meglio da lontano, spesso emerge da un passato dimenticato e, dunque, seguo il flusso naturale dell’ispirazione: quando c’è, scrivo, altrimenti resto in attesa. Non sono io che cerco le parole, sono loro che cercano me. Il guaio è che spesso arrivano nei momenti più impensati, per strada o di notte e, se non scrivo subito, scivolano via senza rimedio. Ma, se provo a mettermi dinanzi al foglio per pura decisione mentale, il foglio resta bianco.

Scrivi di getto o ritorni sulle tue pagine?

Credo di avere in parte già risposto, quando le parole arrivano sotto un impulso, che non so facilmente spiegare, scrivo di getto, ma spesso ritorno poi sulle mie pagine semplicemente per rileggere o anche per modificare, tagliare o riscrivere, se non sento mia quella scrittura o avverto qualcosa di dissonante rispetto all’ispirazione, di non vero.

Com’è l’atmosfera che ti circonda, mentre sei intento a scrivere?

Quando scrivo, esco fuori dal tempo e dallo spazio, non mi rendo conto del tempo che passa. Vivo circondata dai miei personaggi e dalle scene che mi sembra si svolgano attorno a me; non sono mai sola, insomma. In genere, per tutto il tempo della elaborazione del romanzo, vivo con inquietudine, è come se non fossi mai del tutto libera di appartenere a me stessa, perché ho la sensazione continua di una folla caotica che scalpita per prendere forma e uscire da me. La creatività è uno strano fenomeno, che ha bisogno della scrittura per prendere forma, vita e consapevolezza e poi dei lettori, per non rimanere ferma, per scorrere e alimentarsi.

 

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