Madri e matrigne

Madri e matrigne

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Da “ABITARE LA MENZOGNA”    http://www.stampalternativa.it/libri/978-88-6222-339-3/antonella-lia/abitare-la-menzogna.html

“Tutt’a un tratto vede davanti a sé due occhi di bragia, e una forma nera di animalaccio che si accostava adagino adagino (…)  Ah! Che buon odore di carne piccina! Che buon odore! Era sua moglie, la figlia dell’Orco; stava per divorarsi le proprie creature.”  (Luigi Capuana, “Il raccontafiabe”).

Qualcuno si sarà chiesto perché nella letteratura del passato che tratta il tema dell’infanzia -  in quasi tutti gli splendidi romanzi di Dickens, ad esempio – molti personaggi siano fanciulli orfani in balìa di crudeli matrigne e patrigni o di arcigni istitutori di severissimi collegi.
Così nel mondo delle fiabe, che hanno origine nella notte dei tempi, le madri, quasi sempre defunte, sono rimpiazzate da figure diaboliche: gran parte delle protagoniste, precocemente orfane, diventano ostaggio di matrigne crudeli e invidiose.
Anche nei cartoons di Walt Disney i personaggi non hanno affatto genitori o hanno perso presto la mamma: Biancaneve abita con Grimilde, la perfida matrigna; Dumbo viene separato dalla mamma alla nascita; la madre di Bambi viene uccisa dai bracconieri; Mowgli , il protagonista del Libro della giungla, viene adottato da un branco di lupi. Analogamente non hanno genitori Peter Pan, Tarzan e neanche i nipotini di Paperino.
Possiamo avventurarci in diverse interpretazioni.
Potremmo considerare le fiabe, come i racconti per l’infanzia, “viaggi di iniziazione” in cui  non ci può essere spazio per i genitori, come evidenzia Mariuccia Ciotta a proposito della produzione artistica di Walt Disney: “Il suo obiettivo era quello di mettere il bambino davanti al mondo, da solo, pronto per il viaggio della vita. Senza perdere mai, come insegna Peter Pan, gli occhi dello stupore tipici dell’infanzia. In un cammino del genere non c’è spazio per i genitori”.
Oppure possiamo interpretare il decesso prematuro dei genitori come un evento comune in tempi in cui la media dell’età in cui si moriva era molto bassa. Ma questo non può valere per i cartoons.
Infine possiamo azzardare un tentativo di decodifica forse un po’ cinico: non sarà che gli scrittori dei romanzi, così come gli autori delle fiabe, abbiano voluto evitare un terreno minato?
La madre, nella morale comune, è una creatura angelica, dispensatrice d’amore e capace di sacrificio; la matrigna ne poteva essere la comoda sostituta, alla quale attribuire sentimenti e comportamenti opposti a quelli materni come la carenza d’amore, l’ostilità, l’abbandono o addirittura l’infanticidio?
La presenza della matrigna può aver consentito di evitare un tabù e nello stesso tempo aver dato maggiore coerenza alla narrazione, in un’epoca in cui l’etica popolare non avrebbe accettato l’esistenza da parte di una mamma di atteggiamenti ostili. In tal modo, un sentimento considerato sconveniente da parte di una madre, ad  esempio, l’invidia per la bellezza e la gioventù di una figlia, poteva essere facilmente appioppato alla matrigna.
Nelle fiabe non è la mamma, ma la matrigna ad essere perfida, mentre nel mito è proprio la madre, Medea, la strega. “Se una sola uccisione potesse saziare questa mano, non ne avrei perpetrata nessuna. Anche uccidendone due è un numero troppo piccolo per il mio odio. Se qualche creatura si nasconde ancora nel mio grembo, mi frugherò le viscere con la spada e la estrarrò col ferro”.
L’avversione, o almeno l’ambivalenza dei genitori, esiste da sempre, anche se l’opinione comune ne nega l’esistenza, occultando tali disdicevoli sentimenti nella retorica dell’amore familiare.
Il messaggio dell’ostilità genitoriale nei confronti dei figli emerge molto chiaramente in altre fiabe, quelle di Perrault, quelle dei fratelli Grimm o quelle di Capuana.
Hänsel e Gretel, ad esempio, vengono abbandonati nel bosco proprio dai loro genitori. Elemento centrale della fiaba è l’abbandono dei figli, consuetudine ripresa dai Grimm nella loro favolistica, che risale probabilmente al Medioevo, epoca in cui per la scarsità di cibo l’abbandono o l’infanticidio erano pratiche diffuse.
Nella fiaba, accortisi di essere stati abbandonati, i due bambini si spaventano molto, ma non li sfiora minimamente l’idea di biasimare i genitori. Anzi, sono felici di riacquistare valore ai loro occhi, quando, uccisa la strega, tornano a casa portando in dono le sue ricchezze con cui può sfamarsi tutta la famiglia.
La trama di Hänsel e Gretel è simile a quella di Pollicino raccontata da Perrault: analogo è l’episodio dei sassolini e delle briciole, ma soprattutto è analogo l’abbandono dei genitori. Il portare con sé qualcosa per segnare il sentiero e poter tornare a casa, suggerisce l’idea che i bambini fossero ragionevolmente consapevoli della possibilità dell’abbandono e che temessero tale eventualità. La piccola stazza di Pollicino, connotazione aggiuntiva nella fiaba di Perrault, ricorda la trascuratezza grave verso alcuni bambini e la loro conseguente morte per inedia. Era infatti consuetudine a Parigi, fino alla fine del XVIII secolo, affidare gli ultimi nati alle balie, proprio per l’incuria con la quale li lasciavano morire. Analogamente, anche nelle famiglie benestanti per i figli indesiderati erano messe in atto negligenze alimentari e igieniche atte a non favorirne la sopravvivenza.
“L’abbandono, con cui si iniziano tutte le fiabe, in quella di Biancaneve è rappresentato dalla morte della madre. La mamma buona, dispensatrice di vita, è morta, la mamma cattiva dispensatrice di veleno, prenderà il suo posto, quel posto a cui, come ogni bambina candidamente dichiarerebbe, poteva ormai aspirare la piccola principessa. Madre cattiva, matrigna, rivale gelosa e strega, la figura materna della fiaba risulta dallo sdoppiamento della primitiva immagine materna nella dolce mamma del cielo e nella malvagia mamma della terra: il modello più arcaico di difesa di fronte a ogni privazione d’amore. Madre e matrigna vanno considerate le opposte facce della stessa medaglia”
Le pur bellissime fiabe di Luigi Capuana, giornalista ed autore verista del secolo scorso, lasciano perplessi. Che immagine terrificante di madre doveva avere lo scrittore?  Dell’educazione impartitagli dalla famiglia di origine nel corso della sua infanzia non abbiamo notizie, ma durante la frequenza nelle scuole comunali di Mineo, gestite dall’ordine religioso dei Gesuiti, il piccolo Capuana, considerato svagato e distratto, “(…) fu classificato tra gli scolari troppo vivaci e negligenti, e non portò mai a casa nessun premio. A rendere ancora più deprimenti le ore di scuola contribuiva anche la frusta, che qualche maestro usava regolarmente per tenere la disciplina.”
Le fiabe di Capuana, raccolte nel Raccontafiabe, descrivono orrifiche figure materne, tremendi orchi al femminile. Oltre alla Mammadraga, sono presenti un’orripilante ed antropofaga Donna-pesce, nella fiaba Bambolina, e La figlia dell’Orco, che nell’omonima fiaba si appresta a nutrirsi della carne dei suoi stessi figli, salvati appena in tempo dal loro padre.
Non c’è bisogno di “mangiare” letteralmente i figli per annullarli: essi possono essere metaforicamente “divorati” in molti modi e l’elenco potrebbe essere lungo. A causa della sua vulnerabilità, il bambino può essere considerato un oggetto da plasmare secondo un modello ideale da esibire; può essere implicato in un triangolo familiare o invischiato nel patologico equilibrio della coppia genitoriale; può riceve regolarmente il peso dell’infelicità dei suoi genitori, diventando il “portatore del sintomo” o “il paziente designato” dalla famiglia; oppure può essere usato come capro espiatorio delle frustrazioni di uno o di entrambi i genitori; inoltre può divenire oggetto di ricatti affettivi. Talvolta un figlio è considerato un bene “fungibile”, cioè un “bene che si può sostituire con un altro dello stesso genere nell’adempimento di un’obbligazione.”
E’ indubbia dalla notte dei tempi la reale possibilità di impulsi nefasti, denotanti aggressività repressa e desiderio distruttivo, da parte della generazione adulta verso quella emergente.
Da sempre gli anziani difendono strenuamente abitudini, mode, privilegi, potere e istituzioni: in tutti i campi le nuove leve sono destinate a soppiantare le precedenti, pretendendo quei cambiamenti, necessari e forieri di evoluzione, che la vecchia generazione trova destabilizzanti.
A livello più profondo, e non sempre consapevolmente, gli anziani, non potendo bloccare il trascorrere del tempo, si abbarbicano, illusi, alla loro esistenza: quello che non intendono cedere ai giovani, quindi, non è solo una raggiunta posizione di potere e privilegi, ma riguarda, soprattutto, il loro posto di “vivi” nel mondo. Quest’ultima è proprio un’immagine letterale che rende bene l’idea del suo corrispettivo a livello figurato: il giovanilismo al limite del grottesco di alcune persone che rifiutano di invecchiare.
Nietzsche aveva ben compreso che non è facile per chi non vuole “cedere” (a tutti i livelli), sopportare che qualcuno possa sopravvivergli: “Ecco un invidioso: non augurargli di avere dei figli: sarebbe geloso di loro perché non può più avere le loro età”
Questa lotta per il potere ed il controllo comincia in famiglia nei primi anni di vita del figlio.
Solo l’enorme squilibrio di status all’interno del nucleo ha consentito da sempre ai genitori di liquidare come capricci qualcosa che non sempre è una bizza. Si può trattare, infatti, di un “attacco emozionale” per sonno stanchezza o nervosismo; oppure di una rabbia che sorge nel bambino a causa della frustrazione provata nel doversi assoggettare ad imposizioni vissute come inique in una lotta a dir poco impari.
Con la crescita del figlio la bilancia comincia a pendere verso di lui ed il potere comincia a ri-equilibrarsi.
Gli anziani che, nel profondo, non sempre accettano di buon grado di ritirarsi da posizioni di privilegio e di potere, possono provare nei confronti dei più giovani un’intensa ostilità: il desiderio di mutamento provato dalla nuova generazione è vissuto come ribellione alla tradizione ed all’autorità.
Ma l’eventualità di sentimenti aggressivi da parte degli anziani, è da tutti sempre negata, celata da becero sentimentalismo e retorica della famiglia…

“ABITARE LA MENZOGNA” di Antonella Lia, Stampa Alternativa.
(Nel corso del testo e in bibliografia, tutte le dovute citazioni).

    2 Comments

  1. MERAVIGLIOSO ARTICOLO aNTONELLA, MI CALZA A PENNELLO!
    In particolare mi ha colpito questa parte

    “In tal modo, un sentimento considerato sconveniente da parte di una madre, ad esempio, l’invidia per la bellezza e la gioventù di una figlia, poteva essere facilmente appioppato alla matrigna.”

    perchè l’ho vissuta! Che dire sei un genio, peccato che non abito a Napoli saresti la mia analista!

    (sono consapevole che hai poco tempo ma vorrei chiederti se hai pensato alla mia proposta cioè fare qualche colloquio on.line con il dovuto compenso, ovvio).
    Grazie comunque per la passione con la quale ti interessi di noi poveri figli non amati!
    Con affetto, Carmela.

    CARMELA IMPARATO

    aprile 10, 2015

  2. MERAVIGLIOSO ARTICOLO aNTONELLA, MI CALZA A PENNELLO!
    In particolare mi ha colpito questa parte

    “In tal modo, un sentimento considerato sconveniente da parte di una madre, ad esempio, l’invidia per la bellezza e la gioventù di una figlia, poteva essere facilmente appioppato alla matrigna.”

    perchè l’ho vissuta! Che dire sei un genio, peccato che non
    abito a Napoli saresti la mia analista!

    Grazie comunque per la passione con la quale ti interessi di noi poveri figli non amati!

    Con affetto, Carmela.
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    CARMELA IMPARATO

    CARMELA IMPARATO

    aprile 10, 2015

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