La mamma che vorrei

La mamma che vorrei

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Questa è una storia vera, che mostra come l’attenzione affettuosa e disinteressata un adulto, in questo caso un’insegnante sensibile, possa “riparare” almeno in parte, le ferite inferte da un genitore. Le parole non sono mie… è la protagonista che parla e ha chiesto a me di pubblicare il suo racconto… La ringrazio per la fiducia.

«È domenica pomeriggio, Manuela sta giocando fuori della porta di casa, gioca con il servizio di tazzine e piattini che ha vinto. È il primo premio assoluto di Catechismo… ha raggiunto il massimo del punteggio e ora da una settimana si cimenta a fare immaginari caffè. Nella sua fantasia è in una bellissima casa, una di quelle che vede sulle riviste patinate che ogni tanto porta a casa sua sorella più grande… è intorno al tavolo con le sue amiche e si raccontano mille cose.

La giornata è bella e calda e finalmente lei può rimanere fuori da quella casa che invece proprio non le piace, ma è la sua, è il posto in cui vive.

Suo padre è uscito da poco, lei ha visto la sua figura imponente stagliarsi sulla soglia, lui non l’ha degnata di uno sguardo, ma è abituata a questo. L’uomo ha cavalcato la sua bicicletta e pedalando, è subito sparito dietro la siepe che costeggia il tratto che separa il cortile dalla strada.

Manuela sa come finirà la giornata, lo sa perché è domenica e, come tutte le domeniche che Dio ha messo in terra, lui tornerà ubriaco e litigherà con sua madre… il più piccolo pretesto basterà a far scatenare una lite furiosa.

E al solo pensiero ecco che la voglia di fare pipì si fa sentire… è subito violento questo bisogno, solo che la bimba guarda la porta di quel “bagno” in fondo al cortile, un piccolo e puzzolente quadrato buio che la sua famiglia e lei dividono con i clienti dell’osteria. Proprio non trova il coraggio di andarci, ha difficoltà a tenere stretta la catenella che serve a tenere chiusa la porta, e c’è il rischio che qualche uomo la sorprenda in quella posizione imbarazzante.

La trattiene ancora un po’… cerca il coraggio di affrontare quel bugigattolo ma mentre ci pensa, la pipì come tante altre volte, scappa.

“Metti le scarpe! Dobbiamo andare via!” è la madre che urla queste parole.

“Dove?” domanda lei stupita.

“Non ti interessa . Metti le scarpe e basta!”

La bambina entra, guarda la madre, studia l’umore… l’espressione è fredda e lei si domanda dove mai dovranno andare di domenica pomeriggio… non succede mai di andare a passeggio, la sua famiglia non è proprio come una di quelle famiglie che vede in giro, è un nucleo un po’ fuori della norma, insomma.

“Devo cambiarmi le mutandine” parla a voce bassa, si vergogna un po’ e sa che la reazione di sua madre non sarà tenera.

“Sbrigati! – le urla – come al solito te la sei fatta addosso!”

Corre in camera, prende da un cassetto le mutandine pulite e le cambia in fretta, sempre domandandosi dove mai dovranno andare.

Rassegnata segue sua madre che prima di uscire si guarda allo specchio, si pettina i capelli, si mette il rossetto e poi vanno.

“Dove andiamo?” chiede ancora sperando in una risposta.

“Lo vedrai quando saremo là”

“Ma perché devo venire anch’io con te? Avrei voluto giocare!”

“Perché ho bisogno che tu ci sia, e basta”

La bimba non domanda più niente e cammina vicino a lei con aria rassegnata e triste.

Durante il tragitto neppure una parola da parte della madre, percorrono quelle vie che lei conosce bene, è abituata ad andare a scuola da sola, vorrebbe sapere dove stanno andando ma sa che sarebbe inutile fare altre domande.

Arrivano in via Trieste, entrano in un portoncino angusto, salgono una scala semibuia e quando giungono al secondo pianerottolo una porta si apre.

Ad aprirla è un uomo basso, tarchiato, sui cinquant’anni, un sorriso lascivo che riempie Manuela di disgusto… guarda lui, guarda sua madre che si è stampata in faccia un sorriso. L’uomo si sposta sulla fiancata della porta per fare spazio alle due donne che entrano, Manuela quasi spinta dalla madre sta per cadere ma si riprende subito e comincia a guardarsi intorno.

Poi l’uomo la guarda con un sorriso forzato stampato sulla faccia troppo rossa, le dice, “Tu adesso bambina stai qui, giochi con quella bambola che ti ho preparato, fra poco la mamma torna.”

Lei non sa spiegarsi il motivo, ma prima che possa domandare qualcosa i due entrano in una cameretta comunicante a quella squallida cucina e si chiudono la porta alle spalle.

Allora si siede per terra, guarda quella bambola che non le piace e decide che proprio non ci gioca. Sta pensando che deve ancora fare i compiti, sarà dura perché come sempre… il compito consiste nel raccontare come ha trascorso la domenica.

Ad un tratto sente dei sospiri strani, che man mano si trasformano in rantoli, rimane con la schiena dritta e immobile, poi molle che cigolano, rumori inconsueti, sconosciuti. Ma che cosa stanno facendo quei due? Il ritmo dei cigolii aumenta, i rantoli si fanno più forti e lei si tappa le orecchie per non sentire. Ogni tanto toglie le mani per capire se tutto è finito, poi le rimette sulle orecchie. Hanno qualcosa di molto volgare quei rumori e lei proprio non li sopporta. Dio mio ma quando la smettono? Ma che cosa fanno? Ma basta, basta, Dio falli smettere non li sopporto!

Dopo minuti che sembrano ore, silenzio per un attimo, è la voce dell’uomo che ora arriva chiara alle sue orecchie: “Ma era proprio il caso di portare la bambina?” Sua madre risponde :”Certo, se esco con la bambina nessuno pensa che vado a fare qualcosa di male”… e intanto la porta si riapre.

L’uomo le sorride di nuovo, lei vuole solo uscire di lì, si vergogna tanto e non riesce a guardare sua madre, abbassa la testolina e la segue per le scale e per la strada, le cammina dietro, la guarda con una tristezza infinita.

A un tratto la madre si volta: “Sbrigati, cammina!”…  e non guardarmi in quel modo!”

“Come ti devo guardare? Devo ancora fare i compiti… e poi dovevi lasciarmi a casa.”

Arriva uno schiaffo che la stordisce… si ferma per un istante e appena riesce a raccapezzarsi comincia a correre, corre a casa, entra, si guarda allo specchio che c’è sopra il lavandino della cucina. Che fortuna! Le cinque dita si vedono tutte e lei allora sorride di colpo… domani… a scuola, la sua maestra farà una carezza su quelle cinque dita… è successo altre volte.

E il domani arriva, dopo una notte un po’ agitata perché… Manuela ha bagnato il letto e quando succede sua madre va proprio in bestia, urla, strepita, minaccia… un inferno insomma.

Si avvia per la strada trascinando la cartella più grande di lei, entra in classe, si siede nel primo banco. È piccola Manuela, e il primo banco le spetta per vedere meglio la lavagna… lei è contenta perché così vede bene anche la sua maestra.

Ora entra la maestra, saluta la classe… le preghiere prima di cominciare la lezione e poi tutte sedute. Lei traffica nella sua cartella per cercare i quaderni e le penne ma con la coda dell’occhio non perde di vista il bel viso dell’insegnante.

Ecco, adesso la guarda bene: “Manuela vieni qui alla cattedra”- ha una bella voce, è bella nel suo completo “principe di Galles” e la camicetta bianca. La bimba la adora.

“Perché? Che cosa è successo? – le chiede sottovoce.

Manuela si stringe nelle spalle, ha i lucciconi e allora l’insegnante non insiste, ma quella carezza arriva così come arriva anche la sua dolce voce che le dice “Vai a posto ora, faremo un po’ di pensierini”

“Bene bambine, oggi il titolo dei pensierini è “Parlo della mamma”

Manuela apre il quaderno, scrive il titolo e poi comincia a raccontare:

“La mia mamma è molto bella, al mattino mi sveglia con una carezza e mi dice che la colazione è pronta, poi mi cerca i vestiti puliti, si prepara anche lei e mi accompagna a scuola. Quando torna a casa mi cuce i vestiti e mi fa le calze con i ferri da maglia così io d’inverno non ho i piedi freddi, prepara il pranzo sulla stufa che tiene sempre accesa per farmi stare al caldo.”

Poi si alza per consegnare il quaderno, guarda ancora un attimo la pagina e decide che le bugie non si dicono, al catechismo le hanno insegnato che non bisogna mai mentire.

Allora si risiede, riprende in mano la penna e di seguito alle parole “Parlo della mamma” aggiunge “che vorrei”. Ecco, ora non sono più bugie, è la pura verità e lo può consegnare tranquilla:

Mette il quaderno sulla cattedra della maestra e torna nel banco.

La donna legge tutto con attenzione, Manuela non perde neppure il più piccolo movimento del suo viso. L’insegnante si alza, va verso il suo banco, ha due grandi lucciconi agli occhi: “Brava Manuela, neppure un errore di ortografia, e i verbi sono tutti giusti. Dieci e lode come sempre”

Poi si china sulla bimba che ascolta le sue parole come se venissero pronunciate dall’angelo più bello che Dio ha messo in terra.

“Quando sarai grande, diventerai la mamma che vorresti per te” Le sussurra accarezzandole la testa.

Ma le compagne, prese da una botta di gelosia la redarguiscono: “Signora maestra, perché lei coccola più Manuela di tutte noi?”

Allora quell’angelo si volta e con molta semplicità spiega: “Perché lei è la più piccola di tutte voi, e poi si impegna molto nei pensierini”

Volge il viso verso la bambina la quale ricambiando con complicità quello sguardo pensa: “La vita sarà anche brutta ma se Dio ti manda un angelo diventa più facile. Uno schiaffo in cambio di tre carezze della mia maestra in fondo….è un buon baratto.”

Poi china la testa sul suo quaderno e mentre l’angelo le è ancora vicino aggiunge qualche parola sul quaderno, sotto ai pensierini appena giudicati dal suo angelo scrive: “ Io non diventerò mai come la mia mamma” L’angelo legge e anche lei aggiunge qualcosa… un’altra carezza»

Fonte dell’immagine: Lombardia Beni Culturali

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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