LA CONOSCENZA DELLE PROPRIE ORIGINI È UN DIRITTO

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Quando nasce una Madre?

Quando suo figlio viene alla luce… quando si impianta in embrione nel suo utero… o ancora prima quando l’infinitesimale ovulo fecondato attraversa le buie spelonche del suo corpo?

Oppure nasce nel desiderio della donna di procreare?

O addirittura quando da bambina giocando con la bambola, fantastica di essere mamma?

Non è il parto a creare una Madre… la maternità comincia molto prima.

E chi è la Madre?

Non è solo chi ci ha messo al mondo… è  il primo volto in cui ci rispecchiamo.

L’amore assoluto che proviamo per Lei scaturisce da un’esperienza remota, comune a tutti noi umani, anzi a tutti i viventi… il suo grembo. In quel tepore e in quella morbidezza, Lei ci ha cullato, nutrito, accolto… mantenuto in vita.

La violenza della nascita getta nell’oblio tale esperienza… tuttavia tra Madre e figlio resta un filo invisibile…

Noi psicologi – che non siamo poeti – lo chiamiamo legame di attaccamento e  lo definiamo un sistema complesso di comportamenti che consentono la sopravvivenza al bambino.

Questo filo invisibile  è destinato ad allungarsi man mano che il figlio cresce… per consentirgli di individuarsi come adulto. Ma il legame non si scioglie mai… anche dopo la sua morte, la Madre rimane in noi come un oggetto interno.

Ma cosa accade quando il filo invisibile che lega un bambino fin dalla fase embrionale, si spezza alla nascita? Ci sono altre braccia a sostenerlo, altre mani ad accudirlo.

Traduco con parole suggerite dalla mia empatia, la devastante solitudine di un adulto alla ricerca della madre biologica. È un dolore che ha saputo esprimere durante una seduta di psicoterapia funzionale. Si è trattato di una “regressione” molto intensa.

Sentendosi accolto attraverso il percorso terapeutico, il paziente ha “onorato” l’antico bisogno, negato fin dall’infanzia, potendo ritrovare la forza di continuare la sua ricerca e la speranza…

Ho paura di stare da solo sulla Terra… voglio una mamma!

Una mamma-oggetto[1]  di grande stazza, fatta apposta proprio per me.

Un grosso mammifero, anzi una piovra che mi avvolga tra le sue spire e vivifichi con il suo amore,

cuore ed hara insensibili e smorti.

Soffocato dalle sue braccia – odore animale, sapore di latte, vibrante turgore -

sordo e cieco al clamore del mondo, a gola spiegata potrei disciogliere antiche lacrime congelate…

Ma a che vale invocare e protendersi?

Nessuno mai accorrerà a prendermi… come nessuno mi prese allora.

Ed io ho paura di stare da solo sulla Terra senza una mamma… che faccia nido con le sue braccia

al mio povero corpo perduto…

© RIPRODUZIONE RISERVATA



[1] N.d.R. : la mamma è definita “oggetto”, perché è oggetto di amore.

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