I ricatti dei genitori

I ricatti dei genitori

in Blog | 0 comments

Da ABITARE LA MENZOGNA di Antonella Lia, Stampa Alternativa  http://www.stampalternativa.it/libri/978-88-6222-339-3/antonella-lia/abitare-la-menzogna.html

“(…) E’ lei che non ha preso sonno e in fondo alla sua vecchiaia di uccellino che non emigra, (…) ha trovato per lamentarsi una voce non più neanche umana, che quasi non riconosco, e non riconoscerebbe neanche lei, lamenti già esistenti nel mondo e fatti suoi nella sua solitudine di madre di un figlio senza figli.” (P. Pasolini)

Per anni ci hanno propinato storie di sacrifici materni al limite dell’inverosimile, nell’illusione di un amore illimitato e di un’oblatività assoluta nei confronti del figlio. L’immagine culturale della madre, idealizzata ai confini dell’umano, si è ammantata di sacralità. Negata in tal modo alla donna, l’umiltà di ammettere i propri limiti, sono esclusi dalla sua consapevolezza impulsi, emozioni ed eventuale ostilità.

Che però, profondamente, permangono.

“Perché nella maternità adoriamo il sacrificio? Donde è scesa a noi questa inumana idea dell’immolazione materna?” (S. Aleramo)

Solitamente la madre cura e protegge il suo bambino, talvolta anche a costo della propria incolumità, e non lo fa per eroismo, bensì perché obbedisce a quello che generalmente si intende per istinto materno. Lo condivide con “mamma gatta” o “mamma orsa”, ma nessuna di queste mamme merita per questo di essere decorata.

Mentre però nel mondo animale, assicuratasi che il cucciolo sia ormai indipendente, la madre lo lascia a se stesso, in alcune famiglie umane il figlio dovrà risarcire la mamma di tutti i “sacrifici” che ha fatto per lui, continuando in qualche modo ad appartenere a lei che pretende di avergli donato la vita e, pertanto, lo considera parte di sé.  Rinfacciando al figlio sacrifici e rinunce, la madre lo asservirà completamente a sé ottenendo, con meno sforzo, un risultato anche superiore a quello che avrebbe ottenuto con la tirannide.

Poiché la vita ha un valore inestimabile, il prezzo che il figlio dovrà pagare sarà immenso e qualunque cosa faccia, non riuscirà mai a colmare l’enorme debito. Dovrà “restituire” le cure parentali di cui ha goduto quando era piccolo e rispondere alle aspettative che mamma e papà hanno coltivato nei suoi confronti: essere bravo, sano e bello, buono (ma non “fesso”), avere successo, non creare problemi, fare bella figura e via dicendo. Comunque vivrà, qualunque cosa farà, il figlio non potrà mai ripagare la mamma della vita che lei pretende di avergli elargito come dono!

E’ molto facile manipolare un bambino: tollera e perdona tutto a mamma e papà, pronto a giustificare qualunque cosa facciano gli amati genitori.

Il ricatto morale nei suoi confronti è il più vile in quanto egli, per sua natura indifeso ed a loro subordinato, non può rendersi conto di essere imbrigliato in questo tipo di dinamica. Si tratta di un vero e proprio “tradimento” del genitore che invece di proteggerlo e prendersi cura di lui, ne abusa a livello psicologico. Comunque venga espresso il ricatto, il messaggio sottostante è chiaro: “se non mi darai quello che voglio te la farò pagare”. Per un bambino, per il quale il genitore è la persona più importante, il messaggio è devastante: genera paura, ansia, senso di colpa e lo spinge a muoversi in direzione opposta ai suoi profondi  desideri.   Conoscendo perfettamente i punti deboli del bambino, il genitore fà leva sulla sua paura di perdere la relazione o di entrare in conflitto.

In seguito, quando il figlio sarà adulto, per ottenere ciò si che pretende, si farà appello al senso del dovere filiale. Al figlio saranno ricordati e rinfacciati tutti i sacrifici fatti per lui e gli sarà sottolineato quanto egli debba esserne debitore: si tratta del debito della vita che ha un valore enorme e, pertanto, non potrà “mai” essere colmato!

Col suo comportamento da vittima il genitore comunica in modo inequivocabile che se il figlio non lo accontenterà, soffrirà e la colpa sarà solo sua. E gli indurrà il senso di colpa, facendolo sentire responsabile del suo malessere e persino della sua vecchiaia. Il figlio potrà sentirsi egoista, malvagio, irriconoscente, freddo e indifferente se non accetterà di fare quello che gli viene chiesto.

La modalità più subdola di ricatto è la seduzione: il genitore incoraggia, promette amore o denaro o carriera e poi chiarisce che, se il figlio non si comporterà come egli impone, non riceverà nulla.

I diversi tipi di ricatto possono sovrapporsi e co-esistere nel comportamento dello stesso genitore che può alternare vittimismo, seduzione o minacce più o meno velate di ritiro d’affetto.

Il più delle volte il genitore ricattatore agisce per profonda paura; quasi sicuramente a sua volta è stato fatto oggetto di ricatto morale da parte dei propri genitori e tale forma di “estorsione” è il suo modo di difendersi da sentimenti dolorosi e spaventosi di abbandono.

Tali genitori sono talmente abili nel mascherare la pressione che esercitano che il figlio – quando l’avverte – tende a mettere in dubbio la propria percezione di ciò che sta accadendo, piuttosto che la legittimità del comportamento paterno o materno.

E’ inevitabile che chi subisce il ricatto, disorientato, a disagio, e pieno di rabbia, corra il rischio di avere dubbi sulla propria libertà di auto-determinarsi, possa perdere fiducia nella proprie capacità e finisca col mettere in discussione la propria autostima. Può ricavarne la confusa percezione di dover modificare tale incresciosa situazione e ripromettersi di farlo al più presto, salvo poi cedere all’estorsione morale e sentirsi sempre più spesso usato e defraudato della propria libertà.

Altre volte il figlio può essere più o meno vagamente consapevole del ricatto, ma non riuscire comunque a farvi fronte in quanto tocca i suoi punti deboli e lo costringe a reagire secondo modalità che sono state apprese nei primi anni di vita e che favoriscono il perdurare della tattica estorsiva.   Benché non tutti i ricatti morali abbiano lo stesso stile, tutti fanno appello alla paura: paura di perdere l’affetto del genitore, paura di farlo soffrire, paura che egli si ammali, invecchi e muoia (proprio come se fosse colpa del figlio), paura, infine, del giudizio altrui. Svariati sono i punti deboli di un figlio, dall’eccessiva necessità di approvazione; al bisogno di mantenere la pace ad ogni costo evitando qualsiasi tipo di conflitto; alla tendenza ad assumersi la responsabilità della salute e della vita del genitore; al senso in colpa per qualsiasi cosa minacci il benessere del padre e della madre; alla tentazione, infine, di rinunciare al proprio benessere e ai propri desideri pur di non veder soffrire i  propri genitori. Quest’ultima dinamica lo imprigiona nei bisogni psicologici del padre o della madre e gli fa perdere – oltre che la libertà – la capacità di analizzare i problemi e la possibilità di capire come risolverli al meglio.

Nel corso del testo e in bibliografia, tutte le dovute citazioni.

L’immagine è tratta dal film “Quel mostro di suocera”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Post a Reply

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>

468 ad